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La moglie del ricercatore incarcerato in Iran in Università: "Ahmad sta male"

Vida Mehrannia, moglie di Ahmadreza Djalali, ha incontrato il Rettore dell'Università del Piemonte Orientale: "Aiutatemi a non lasciarlo solo"

Profondamente triste ma determinata a non smettere di lottare. Vida Mehrannia, la moglie del ricercatore iraniano Ahmadreza Djalali accusato di spionaggio e recluso nel carcere di Evin, nei sobborghi di Teheran, dall’aprile del 2016, venerdì ha fatto visita all'Università del Piemonte Orientale per incontrare il Rettore Cesare Emanuel.

All’incontro hanno partecipato i più stretti collaboratori di Ahmad nel periodo in cui il ricercatore è stato membro del Crimedim, il direttore del centro di ricerca Upo specializzato nella medicina d’emergenza e dei disastri Francesco Della Corte e il dottor Luca Ragazzoni, accompagnati da Elena Ferrara, già senatrice della XVII Legislatura che è sempre stata in prima linea per tenere alta l’attenzione sulla situazione di Ahmad.

"Ho voluto venire qui oggi - ha detto Vida Mehrannia - poiché sento il bisogno di ringraziare l’Università, le comunità che la ospitano, il suo Rettore e tutte le persone, come i suoi ex colleghi e come la senatrice Ferrara, che dall’Italia e con ogni mezzo sono stati vicini ad Ahmad e alla mia famiglia in questi mesi lunghissimi. Sebbene nell’ultimo periodo riusciamo a comunicare telefonicamente con Ahmad quasi tutti i giorni, le sue condizioni di salute restano molto precarie e non ci è concesso di incontrarlo. Ha difficoltà a curarsi e vive con altri otto detenuti in uno spazio limitato; allo stato attuale non ci è stata fornita alcuna prova reale che dimostri le accuse che gli sono rivolte".

Il Rettore Cesare Emanuel ha espresso la vicinanza di tutto l’Ateneo alla famiglia Djalali: "Il nostro pensiero va soprattutto ai due figli di Vida e Ahmad che hanno il diritto di crescere al fianco dei propri genitori. Siamo tutti convinti dell’innocenza di Ahmad e l'Upo continuerà a opporsi con forza e con ogni mezzo consentito a questa situazione inaccettabile, proseguendo una battaglia di libertà al fianco delle istituzioni italiane e sovranazionali per fare in modo che anche a Djalali vengano garantiti un giusto processo e le cure sanitarie di cui ha estremo bisogno".

Elena Ferrara ha ricordato quanto fatto insieme al senatore Luigi Manconi e alla Commissione diritti umani del Senato: "La nostra lotta per liberare Ahmad va avanti da Novara fino alle più alte istituzioni internazionali. La forte attenzione su questo caso non deve diminuire e anzi deve rilanciare con forza gli appelli dei 75 Nobel firmatari della lettera per la liberazione di Ahmad o dell’appello della senatrice a vita Elena Cattaneo".

"Sono profondamente convinto - ha detto Francesco Della Corte - che Ahmad sia vivo e possa ancora lottare grazie alla mobilitazione internazionale che, dall’Upo, ha coinvolto il mondo della politica, della ricerca accademica, di Amnesty International e le svariate migliaia di cittadini che hanno sostenuto e sostengono la campagna #saveahmad. Di certo non ci fermeremo proprio ora".

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