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Cronaca

Ricercatore novarese condannato a morte in Iran: "Ha perso 20 chili, sta molto male"

La foto-denuncia è stata pubblicata su Facebook. Le autorità iraniane hanno rifiutato il trasferimento in ospedale

Una foto, scattata una settimana fa, lo ritrae con il volto scavato, chiaramente molto provato da oltre un anno e mezzo di detenzione in una prigione iraniana. 

Ahmadreza Djalali, il ricercatore che ha lavorato per anni a Novara al Crimedim e che è stato condannato a morte nel suo paese, avrebbe perso oltre 20 chili e avrebbe seri problemi di salute. A denunciarlo una foto apparsa su Facebook in questi giorni in cui il medico appare magro, quasi irriconoscibile, in un fotomontaggio davanti ai cancelli della prigione di Evin, a Teheran, dove è detenuto dall'aprile 2016 con l'accusa di essere una spia israeliana. 

Il medico, padre di due figli, è stato condannato in secondo grado a morte lo scorso 9 dicembre. Qualche settimana dopo ha iniziato a circolare sul web una video-confessione in cui ammette di essere una spia, ma la moglie ha categoricamente smentito, sostenendo che il video è stato estorto con minacce, violenze e torture. Ora Djalali avrebbe gravi problemi di salute, ma le autirità iraniane hanno rifiutato il trasferimento in ospedale. Per lui si è mobilitata tutta la comunità scientifica e politica e gli appelli, tra cui quello di Amnesty International, non sono mancati. Resta ancora un terzo grado di giudizio per ribaltare la sentenza. 

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