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Salute

Intelligenza artificiale nella sanità: Novara in prima linea nella ricerca

L'Università del Piemonte Orientale è capofila di un progetto che utilizza il machine learning in ambito cardiologico

La Scuola di Medicina di Novara in prima linea nella ricerca sull'utilizzo dell'intelligenza artificiale in ambito cardiologico. L'Università del Piemonte Orientale, infatti, è tra gli atenei coinvolti nello studio multicentrico "Machine Learning Analysis of Left Ventricular Function to Characterize Heart Failure With Preserved Ejection Fraction", recentemente pubblicato sulla rivista scientifica della American Heart
Association Circulation Cardiovascular Imaging. Allo studio hanno lavorato il professor Paolo Marino e la dott.ssa Anna Degiovanni,
entrambi afferenti al Dipartimento di Medicina traslazionale.

Le altre università partner, che hanno collaborato nell’ambito del progetto europeo Media (The MEtabolic Road to DIAstolic Heart Failure), sono quelle di Cardiff (prof Alan Fraser e dott. Tamas Erdei), Oslo (prof Svend Aakkhus e dott. Gabor Kunszt), Perugia (dott. Erberto Carluccio), Sophia-Antipolis (prof Nicolas Duchateau), Trondheim (prof.ssa Gemma Piella) e Barcellona (dott. Sergio Sanchez-Martinez autore dell’articolo e prof Bart Bijnens).

Il progetto di ricerca

Lo studio ha utilizzato l'intelligenza artificiale per interpretare determinati segnali biologici - in questo caso la risposta ventricolare al test da sforzo di 156 pazienti con più di 60 anni - nel contesto del cosiddetto scompenso cardiaco con funzione sistolica conservata, sindrome che colpisce circa la metà dei soggetti affetti da insufficienza cardiaca e identificata dagli specialisti con la sigla HFpEF (Heart Failure with
preserved Ejection Fraction).

La diagnosi di questa sindrome, di cui i medici prevedono un significativo incremento nei prossimi decenni, non è al momento completamente affidabile utilizzando un approccio che non faccia ricorso all’emodinamica; grazie al machine learning e all’analisi dei dati di imaging ecocardiografico raccolti durante l’esecuzione di una prova da sforzo, i ricercatori cercano di stabilire con esattezza le oggettive
differenze tra pazienti sani e pazienti con HFpEF. Dei 156 soggetti testati, infatti, 33 non erano affetti da alcuna patologia cardiaca, mentre 72 avevano avuto una diagnosi di HFpEF. Inoltre sono stati inseriti nello studio, a scopo confondente, 24 ipertesi asintomatici e 27 pazienti limitati da una dispnea a bassa soglia non riconducibile a cause cardiologiche (breathless). Secondo gli studiosi l'analisi della funzione ventricolare sotto sforzo di tutti i soggetti arruolati, attraverso un processo di machine learning interpretabile, può migliorare la diagnosi e conseguentemente l’identificazione dei pazienti affetti da HFpEF.

"I risultati poco soddisfacenti degli studi sulle terapie sperimentate nei pazienti affetti da HFpEF - spiega il professor Paolo Marino - possono, in parte, essere causati dai limiti degli attuali criteri diagnostici. Approcci alternativi che combinano dati clinici e parametri desunti dall’imaging tradizionale potrebbero non considerare un numero sufficiente di dati per catturare la complessità del fenomeno. In quest’ottica, l’intelligenza artificiale può darci un grosso aiuto essendo essa in grado di integrare e interpretare, sotto la supervisione di un medico cardiologo, i dati registrati su pazienti sottosforzo nella loro totalità e complessità temporale e spaziale. Variazioni non percepibili correntemente tra la condizione di riposo e lo sforzo possono essere condensate, utilizzando l’approccio descritto, in profili distinti cui corrispondono risposte funzionali, valutate mediante il tradizionale test del cammino, nettamente differenti in termini di durata. Il tutto mantenuto nei confini cui anche un approccio innovativo quale quello descritto deve sottostare, rappresentati dai rischi derivanti dall’utilizzo di un campione non sufficientemente rappresentativo o dall’utilizzo di dati non generati correttamente".

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