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Da Novara al sud dell'Africa per seguire il viaggio di MotoForPeace

E' la storia di Carmine Rubicco. Due mesi per le vie di 5 stati africani per documentare la carovana composta da 11 moto, che hanno attraversato l'Africa per portare aiuti umanitari

In Africa per oltre 14mila chilometri per seguire le moto della solidarietà. E' l'avventura del fotografo novarese Carmine Rubicco, che dal 19 aprile al 17 giugno è partito con "MotoForPeace", la Onlus composta dal personale della polizia di Stato, per documentare la loro missione umanitaria: due mesi per le vie di cinque stati africani per portare aiuti umanitari.

Il viaggio

Un progetto chiamato "Gli anonimi della fede", che aveva come obiettivo quello di aiutare i missionari che si danno da fare in maniera anonima, appunto. Un viaggio fatto da 18 persone, 11 moto, 1 furgone, 1 van, 60 giorni, 14mila chilometri, 5 nazioni per tutto il sud Africa.
Il progetto è stato organizzato e promosso dalla onlus "MotoForPeace", fondata nel 2001 e costituita da personale della polizia di Stato italiana e alla quale, nel corso del tempo, hanno aderito anche appartenenti all’Arma dei carabinieri, guardia di finanza e poliziotti di altre nazioni europee, nonché specialisti in ambiti professionali diversi (medici, giornalisti, addetti alla comunicazione) che persegue finalità umanitarie attraverso spedizioni motociclistiche. Dalla sua fondazione "MotoForPeace" ha percorso circa 200mila chilometri attraverso tutto il mondo. Dall’Asia all’America latina, dall’Africa all’Italia.

Le realtà a cui sono stati portati aiuti si prendono cura dei malati terminali cercando di migliorare la forza, la mobilità e la riabilitazione fisica complessiva, e di migliorare la qualità della vita attraverso una gestione  efficace del dolore. Altrove l’itinerario ha portato una mano per la ristrutturazione di edifici sanitari seriamente compromessi, per dotare strutture di parco giochi e materiali didattici, mantenere una sicurezza permanente contro atti vandalici, dotare strutture sanitarie di apparecchiature mediche specifiche, di ambulanze a trazione integrale 4x4 per migliorare l'assistenza ai malati delle comunità limitrofe, la ristrutturazione di edifici ospedalieri con problemi strutturali  e presidi medici.

In viaggio con "MotoForPeace": le foto di Carmine Rubicco

L'intervista

Noi abbiamo fatto quattro chiacchiere con Carmine Rubicco, che ci ha parlato della sua avventura e del suo reportage fotografico.

Come mai sei partito con "MotoForPeace" e come li hai conosciuti?
Li ho conosciuti per caso, cercando notizie per un altro progetto sulle religioni mi sono imbattuto in un banner dell'associazione che pubblicizzava l'organizzazione del viaggio. Così mi sono informato, li ho contattati e ho fatto loro la proposta di seguirli come foto reporter. Durante il viaggio eravamo due foto giornalisti, con me c'era il collega Gabriele Orlini, mentre tutti gli altri componenti della "carovana" erano poliziotti, per la maggior parte italiani, ma c'erano anche tre spagnoli, un belga, un austriaco e una poliziotta sudafricana che si è unita al viaggio. Ho deciso di partire con "Moto4Peace" per documentare il viaggio, la missione e per scoprire e raccontare l'Africa.

E' stata la tua prima volta in  Africa e in un viaggio umanitario?
E' stata la mia prima volta così, in un viaggio come questo, e per un periodo così lungo. Professionalmente seguo il filone sociale e umanitario da sempre, non è quindi stato il mio primo "lavoro umanitario", ma il primo insieme ad una Onlus per così tanto tempo. Ho già portato avanti alcuni progetti raccontando la vita dei migranti a Ventimiglia, dei Rom a Reggio Calabria, e dei giovani delle periferie di Baia Mare in  Romania.

Come è andato il viaggio?
Abbiamo attraversato 5 stati, perccorrendo 14mila chilometri. Dormivamo sul posto, in tenda, con i missionari che andavamo ad aiutare, vivendo quello che vivono loro tutti i giorni. Abbiamo incontrato parecchi vescovi che stanno sul posto, si rimboccano le maniche, e tutti ci hanno detto che rifarebbero tutto da capo e che l'Africa è il miglior posto in cui morire. Abbiamo conosciuto anche un prete indiano, ex induista, che si è convertito al cattolicesimo per poter diventare un missionario cattolico. Siamo sempre stati accolti bene, anche se siamo stati gli unici bianchi per l'80% del viaggio. L'unica grossa difficoltà che abbiamo incontrato è stata quella delle strade, soprattutto in Angola al confine con lo Zambia, dove la strada è scomparsa e diventata impraticabile.

Cosa ti ha lasciato un viaggio di questo tipo?
E' stata un'esperienza importante e arricchente, perchè stando sul posto ti rendi conto che nessuno di questi Paesi può gestire le proprie risorse e del perchè alcune di queste persone scappino dalla loro terra. Quello di cui hanno più bisogno, almeno per quello che ho potuto vedere io, sono le persone e non le strutture, persone che li aiutino a progredire e andare avanti secondo i loro tempi e le loro prerogative. Quello che è emerso secondo me è proprio questo: la nostra grande responsabilità verso queste nazioni, e di conseguenza, queste persone.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Tornerò sicuramente in Romania, a Baia Mare, per vedere se è cambiato qualcosa. Mentre ad agosto farò un viaggio in Basilicata, coast to coast, e a settembre un viaggio di foto turismo in Marocco. L'anno prossimo mi piacerebbe tornare in Africa (Angola o Zimbawe) in maniera autonoma.

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