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Dalla città alle Alpi francesi per fare il pastore: "Un'esperienza unica"

Trentasettenne di Borgomanero, Niccolò Brambilla da alcuni anni passa le estati sulle Alpi francesi per portare al pascolo greggi di capre e pecore

Dal novarese alle Alpi francesi per fare il pastore in alpeggio. E' l'avventura di Niccolo Brambilla, 37enne di Borgomanero, che da un paio di anni passa le sue estati in Francia, a oltre 2mila metri di quota, in compagnia di pecore e capre e degli splendidi paesaggi alpini.

Un'avventura che è iniziata con il primo lockdown del 2020 e che Niccolò ha voluto raccontare a NovaraToday.

Come hai deciso di diventare un pastore?
"Lavorare nell'agricoltura è sempre stato un mio desiderio, nonostante non sia una tradizione o un lavoro di famiglia. Dopo la laurea in Agraria, con una tesi sui formaggi d'alpeggio, ho seguito un corso per diventare casaro e ho cominciato a girare, per un po' di stagioni, nelle aziende agricole del territorio, entrando un po' alla volta in questo mondo e cominciando a conoscerlo. Ho poi lavorato anche come apicoltore e giardiniere e prima della pandemia ho partecipato come formatore in un corso transfrontaliero sulla produzione casearia tra Italia e Francia. In questa occasione ho conosciuto un tecnico di una cooperativa francese che mi ha parlato della possibilità di lavorare come pastore stagionale in Francia e nell'anno del covid, il 2020, è arrivata la mia prima opportunità: andare quattro mesi e mezzo sulle Alpi Marittime francesi, a lavorare come pastore. L'anno scorso, poi, ho scoperto un centro di collocamento francese in cui venivano pubblicati annunci di lavoro nel mondo della pastorizia e sono stati chiamato come "pastore supplente" (berger d'appui et remplacement) sulle Alpi della Savoia grazie al progetto Life WolfAlps che in Francia sostiene i pastori che vi aderiscono con diverse iniziative: da giugno a ottobre ho così sostituito o aiutato alcuni pastori in una decina di alpeggi della zona, occupandomi di greggi di pecore e capre a oltre 2mila metri di quota. Esperienza che ho ripetuto anche quest'anno".

E perchè proprio in Francia?
"La risposta è semplice: in Francia il lavoro di pastore è economicamente sostenibile. Il mondo del lavoro funziona, il lavoro rurale è supportato, esiste una parità di genere oggettiva, i colleghi a volte sono persone che lo fanno da tutta la vita, ma spesso sono persone che hanno cambiato vita e provengono da diverse esperienze lavorative precedenti, esistono dei diritti... insomma si lavora e si sta bene. Grazie al progetto Life WolfAlps, ma soprattutto a come i soldi erogati  con questo progetto vengono investiti dallo Stato, esistono inoltre più tutele per l'allevamento estensivo, permettendo così anche a chi non proviene da questo mondo di lavorare nella pastorizia. Lo Stato francese sa usare i soldi europei dei progetti sulla gestione dei grandi caronivori, girandoli in servizi alle aziende. 

Come funziona il lavoro del pastore?
"A livello pratico cerchiamo l'erba per gli animali che ci sono affidati, gestiamo il pascolo in modo da soddisfare gli animali e assicurare la disponibilità d'erba lungo tutto l'arco della stagione. Degli animali ci prendiamo cura in caso di ferite o malattie, li proteggiamo dalle predazioni da lupo. 
A livello emotivo sfuggiamo a quello che in basso soffoca. Cerchiamo i grandi spazi, i silenzi, il sentirsi piccoli e parte di quel mondo naturale. Vivere nella natura fa sentire estremamente vivi, una stagione di bel tempo come quella trascorsa è ideale per un pastore (al di là della difficoltà nel trovare erba e acqua sufficienti), ma anche quando piove, o nevica o gela, l'essere lì dà un senso più profondo alle cose".

Qual è l'aspetto migliore, quello che preferisci, del lavoro del pastore?
"Quello del pastore è un lavoro che può essere definito un po' da fuori di testa, ma ti permette di vivere a contatto con la natura in spazi enormi circondato da paesaggi incredibili. Vivere la montagna o lo spazio naturale da pastore è un'esperienza unica. L'escursionista passa e se ne va, consuma sentieri, rifugi, cime. Il pastore invece sta. Mi è capitato, spesso, di parlare con persone che facevano cammini lunghi, traversate e nella mia testa si accendeva sempre la considerazione: «Wow, un cammino di settimane.... Ma se ci penso anche io sto camminando da un mese e sono sempre qui! E conosco i camosci, so dove c'è quel prato di stelle alpine, dove cresce il genepì, dove trovarmi al tramonto per avere la vista più grandiosa o dove c'è quel sasso per ripararmi dalla pioggia o dal sole cocente». 
Il lavoro del pastore è molto meditativo, e a volte estremamente adrenalinico: penso alle giornate di nebbia quando i cani impazziscono perché i lupi sono lì che ci curano e aspettano il momento buono per sbranarti una pecora o una capra sotto al naso".

Cosa ti spinge verso questa vita che può essere definita estrema? 
"La ricerca dell'essenziale, il riconoscimento del limite: ci si sposta a piedi, si conta solo sulle proprie forze, nello spazio di uno zaino deve stare il cibo nutriente e conservabile, il vestiario, un binocolo e pochi beni di conforto (un libro, un piccolo passatempo, del cioccolato o quella frutta secca che adoro). È un'osservazione comune a molti colleghi la soddisfazione di trovare, in una giornata particolarmente impegnativa, in fondo alla tasca dello zaino ancora un pezzetto di cioccolato fuso e risolidificato o due albicocche secche dimenticate, che dopo una bella spolverata ritornano ad essere una merenda gourmet! E finisce sempre con una risata autoironica su una situazione così misera: «Ahaha, e non stiamo bene qui?!»".

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
"Mi piacerebbe fermarmi e trovare un posto mio in cui allevare animali e trasformarne il latte in formaggi. Ancora non so dove, ma l'idea mi piace. Mi manca però anche il mondo della produzione casearia, così nel frattempo continuo con le consulenze casearie e qualche formazione... anche se questo ambiente non è così semplice".

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