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Cronaca

Maxi frode fiscale nel settore vinicolo: due novaresi in manette

Operazione delle Fiamme Gialle venete. Sequestrati beni e valori per oltre 23 milioni di euro

Due novaresi in manette per una maxi frode fiscale nel settore vinicolo. Una donna di 52 anni residente a Borgomanero e un uomo di 63 anni di Invorio sono al centro di un'indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Asti, originata da una verifica fiscale avviata dal Nucleo di polizia tributaria di Venezia nei confronti di un’azienda agricola trevigiana, che avrebbe imbottigliato e immesso sul mercato nazionale e comunitario vini bianchi, rossi e rosati da tavola falsamente etichettati Igt.

I due novaresi sono finiti in carcere insieme ad un 51enne di Cuneo; per altre due persone, invece, sono scattati gli arresti domiciliari. L'accusa è di associazione a delinquere transnazionale finalizzata all’evasione fiscale, alla frode in commercio e al riciclaggio. Le Fiamme Gialle hanno inoltre sequestrato beni e valori per oltre 23 milioni di euro.

L'inchiesta

Sono state eseguite, in tutto il territorio nazionale, perquisizioni e acquisizioni documentali nei confronti di ulteriori soggetti coinvolti nella frode, in cui sono complessivamente indagate 60 persone. Dai riscontri di polizia giudiziaria è emerso che oltre 254mila bottiglie del falso vino Igt, prodotte dall'azienda trevigiana, erano state cedute ad un'impresa del cuneese che, a propria volta, le aveva distribuite sui mercati italiano e nord europeo, con altro vino dalle stesse caratteristiche reperito da altri operatori. Le perquisizioni eseguite nei confronti della rete di società risultate coinvolte hanno permesso di sequestrare, nel complesso, circa 150mila bottiglie di vino fraudolentemente etichettate Doc e/o Igt, nonché documentazione contabile ed extracontabile attestante il trasporto di ingenti quantitativi di vino verso il Regno Unito, il Belgio e la Germania.

Il sistema di frode

Con approfondimenti contabili e indagini finanziarie i finanzieri hanno ricostruito la filiera illecita e i sistemi di frode utilizzati per immettere in consumo vino, birra e superalcolici in evasione d’imposta. Gli schemi fraudolenti utilizzati dall’organizzazione variavano a seconda che i prodotti fossero destinati in Italia o all’estero. Nel primo caso, le imprese produttrici operavano la cessione di modesti quantitativi di vino a operatori economici compiacenti, emettendo regolare documento di trasporto e fattura con applicazione dell’Iva. A queste stesse ditte, in realtà, il vino veniva ceduto "in nero" in quantità ben maggiori, grazie all’interposizione di imprese virtuali, senza un'effettiva organizzazione aziendale, alle quali il prodotto veniva fittiziamente venduto con false fatture, tra l’altro senza applicazione dell’Iva per effetto dell’utilizzo di dichiarazioni attestanti l’intento di esportare la merce emesse dalle stesse aziende fantasma. Per le cessioni di prodotto nel territorio comunitario, invece, veniva predisposto il documento univoco di accompagnamento prescritto dalla normativa in materia di accise per i trasporti di prodotti alcolici. Se, durante il tragitto per raggiungere la destinazione indicata nei documenti, il carico non aveva subito controlli delle autorità, la merce veniva dirottata, in evasione di Iva e accise, presso siti di stoccaggio di soggetti terzi complici dell’acquirente comunitario. Lì, il documento di trasporto originariamente predisposto veniva sostituito con altro attestante la cessione di pasta fresca, alimentari o succhi di frutta, gravati da imposizione fiscale molto minore rispetto a quella prevista nei Paesi nord-europei per i prodotti alcolici. Tale procedura veniva ripetuta più volte, per cui a fronte di un unico documento venivano effettuati numerosi trasporti, di cui solo l’ultimo era regolarmente fatturato.

Ricavi non dichiarati per oltre 25 milioni

L’indebito risparmio d’imposta quantificato in relazione alla mancata applicazione dell’accisa per le cessioni operate dall’organizzazione all’estero è stato quantificato complessivamente in oltre 12 milioni di euro. Per effetto del sistema di frode, inoltre, le imprese italiane coinvolte hanno omesso di dichiarare ricavi per oltre 25 milioni di euro ed evaso l’Iva per oltre 7 milioni. Parte dei proventi ottenuti dall’attività illecita sono stati inoltre utilizzati da uno degli arrestati per acquistare un immobile, intestandolo alla figlia, che è stata denunciata per riciclaggio, in quanto risultata essere a conoscenza dell’origine illecita della provvista di denaro.

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