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Cronaca

E' morto il partigiano Ferruccio Maruffi, il ricordo dell'Anpi di Novara

Scomparso a 91 anni a Torino, era molto conosciuto anche nel novarese, dove era stato spesso ospite di scuole e istituzioni. L'Anpi novarese: "Ciao Ferruccio, grazie!"

Venerdì 9 ottobre a Torino è morto a 91 anni, dopo una lunga e appassionata vita, il partigiano torinese Ferruccio Maruffi, deportato a Mauthausen dal 20 marzo 1944 al 5 maggio 1945, giorno della liberazione del campo.

Era molto conosciuto anche nel novarese, dove era stato spesso ospite di scuole e istituzioni. Instancabile testimone della deportazione politica, collaboratore di Primo Levi, guida insostituibile nei viaggi della memoria che ha organizzato per decenni nei luoghi della deportazione, autore di diversi libri come "Codice Sirio" e "La pelle del latte", che raccontano la sua esperienza, Ferruccio Maruffi era stato negli ultimi anni anche presidente dell'Aned (l'associazione degli ex deportati politici e razziali) del Piemonte e responsabile di quello nazionale, dopo essere stato uno dei protagonisti della sua nascita nel dopoguerra, quando i deportati erano trascurati, dimenticati o ignorati da tutti.

L'Anpi del novarese ha voluto ricordare la sua figura, quella di "un amico straordinario, un grande uomo capace di coinvolgere i giovani con parole leggere, a volte ironiche, prive di odio e volontà di vendetta, rigorose nella condanna inappellabile del nazifascismo, ricche invece di tolleranza, senso della giustizia, amore per la libertà e fiducia nella speranza".

"Quella speranza - ha commentato Anna Cardano, del comitato provinciale Anpi Novara - che gli faceva intuire, anche nei ragazzi che sembravano più indifferenti, la possibilità di un futuro diverso, e che non gli faceva mai esprimere giudizi scontati, facili condanne, soprattutto sui giovani. Ricordava spesso che la sua storia era stata quella di un ragazzo di vent'anni che aveva incrociato la grande storia in circostanze tragiche, e forse, come diceva, lui e i compagni avevano dato il meglio di sè, proprio in quei tempi. Raccogliendo la grande lezione morale di Primo Levi, anche Ferruccio era estrememente rigoroso nelle sue testimonianze, fedele, asciutto, attento ai particolari, alla forza di rinascita degli esseri umani, alla necessità di ragionare sulla deportazione, e non solo di consumare emozioni, buone per tutte le occasioni. Ora tocca a noi raccogliere il suo testimone, avendo in mente il tono della sua voce, pacato, sereno, che catturava l'attenzione degli interlocutori senza mai alzare la voce. Erano i nazifascisti a urlare, gridare, odiare, non il deportato Ferruccio, che nel campo di Mauthausen, dove 5000 compagni italiani sono morti assassinati, riusciva a ritrovare la forza di mantenersi uomo libero anche guardando le stelle in cielo. Ciao Ferruccio, grazie!".

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