Borgomanero: appuntamento con il cineforum
Martedì 24 gennaio torna l'appuntamento con il cineforum a Borgomanero.
IL FIGLIO DI SAUL Titolo originale: Saul fia Regia: László Nemes Sceneggiatura: László Nemes, Clara Royer Fotografia: Mátyás Erdély Musiche: László Melis Montaggio: Matthieu Taponier Scenografia: László Rajk Costumi: Edit Szücs Effetti: Barnabás Princz Suono: Tamas Zanyi Interpreti: Géza Röhrig (Saul Ausländer), Levente Molnár (Ábrahám), Urs Rechn (Oberkapo Biederman), Todd Charmont (uomo con la barba), Marcin Czarnik (Feigenbaum), Sándor Zsótér (dottore), Jerzy Walczak (Rabbino del Sonderkommando), Uwe Lauer (SS Voss), Christian Harting (SS Busch), Kamil Dobrowolski (Mietek), Amitai Kedar (Hirsch), István Pion (Katz), Levente Orbán (Vassili), Juli Jakab (Ella) Produzione: Gábor Rajna, Gábor Sipos per Laokoon Filmgroup Distribuzione: Teodora Film Durata: 107' Origine: Ungheria, Francia, 2015 Grand Prix, Premio FIPRESCI e Vulcan Award of the Technical Artist (a Tamas Zanyi) al 68. Festival di Cannes (2015); Golden Globe 2016 come miglior film straniero; Oscar 2016 come miglior film straniero; David di Donatello 2016 come miglior film dell'Unione Europea. 1944. Nel campo di concentramento di Auschwitz, Saul Ausländer, prigioniero, è costretto a bruciare i corpi della propria gente nell'unità speciale Sonderkommando. Sente inevitabilmente il peso delle azioni che deve compiere, ma trova un modo per sopravvivere. Un giorno salva dalle fiamme il corpo di un giovane ragazzo che crede essere suo figlio e decide di cercare in tutto il campo un rabbino, che possa aiutarlo nel dargli una degna sepoltura. Auschwitz, 1944. L'ebreo ungherese Saul Auslander è uno dei Sonderkommando dei nazisti, ovvero un prigioniero obbligato a lavorare per aiutare nelle operazioni di sterminio di massa. Normalmente il loro impiego durava qualche mese, poi venivano rimossi, eliminati e rimpiazzati. Raccogliendo cadaveri, Saul identifica nel corpo di un giovane quello di suo figlio. Cerca allora di dargli una sepoltura secondo i canoni della sua religione, complicando un disperato tentativo di fuga che alcuni suoi compagni stanno progettando. Con la cinepresa spesso dietro la spalle o comunque addosso all'espressione concentrata e impassibile fin quasi alla stolidità dello sventurato protagonista, László Nemes (esordiente, ma già prezioso collaboratore di Bela Tarr e si vede tantissimo) ci scaglia nel cuore dell'inferno, nel suo caos visivo e sonoro (è tutto un ottundente abbaiare di urla, ordini, rumori), coinvolgendoci prima di tutto in una esperienza visiva e percettiva di straordinaria originalità («Volevo solo mostrare quello che vede. Niente di più, niente di meno» dice l'autore). Non è tanto o solo l'estrema tragicità della situazione, con gli esseri umani ridotti a cose, a pratiche da sbrigare (c'è una notte infernale di rara concitazione, con i prigionieri terrorizzati e ammucchiati, ammazzati a pistolettate alla tempia e precipitati in fosse tra i bagliori del fuoco, i fumi, il buio che tutto avvolge di impatto emotivo ai limiti della sostenibilità) a colpire di più (in fondo, specialmente dalla Francia e dall'Europa centrale, altri film ce l'avevano mostrata, a partire da "Notti e nebbia" di Resnais). È la dolorosissima, obbligata non reattività di Saul (Géza Röhrig), che ha una sola occasione per non abbandonarsi alla passività dell'animale condotto al macello. Vincerà la sua battaglia? In qualche modo, forse (un'imitazione di sorriso verso alla fine quasi gli piega le labbra, ma non diremo qui perché). Tratto da "La voce dei sommersi" (edito in Italia da Marsilio, a cura di Carlo Saletti), questa memorabile opera di fiction girata con molti piani sequenza (all'ungherese) ci ricorda che il cinema può ancora essere fondamentale per indagare negli abissi dell'animo e per farsi Storia, cultura e riflessione. (……). Massimo Lastrucci, Ciak Il modo migliore di celebrare il Giorno della Memoria è andare a vedere "Il figlio di Saul". Terribile a vedersi, ma non vederlo è un delitto. Un capolavoro aumenta in chi lo vede la voglia di vivere, una vita che ti fa incontrare capolavori è un regalo del destino. Ma stavolta non è così. Vedi questo film perfetto, e resti muto e spento. C'è un attimo di smarrimento in sala quando il film finisce, nessuno fiata. Non so se esista uno strumento in grado di misurare la 'vitalità' delle persone, la voglia, la capacità di vivere, ma se esiste, e se si potesse usarlo sugli spettatori che escono dalla sala dopo aver visto questo film, si scoprirebbe che la loro vitalità è prossima allo zero. È un film che ti fa vergognare. Perché mostra che cosa sono stati capaci di fare gli uomini, e poiché tu sei un uomo, vergognandoti di loro ti vergogni di te. (…...) Sì, tutti abbiamo visto Birkenau (nessuno doveva uscire dal secolo scorso senza averlo visto), dunque abbiamo visto i luoghi dove si svolgeva l'abominevole operazione che si chiamava Sterminio. Ma quei luoghi oggi sono muti. Li vedi ma non li senti. E ogni racconto, ogni testimonianza, ogni diario che li descrive, non te li fa sentire. E senza sonoro sono morti. Il film recupera il sonoro. Urla, pianti, percosse, imprecazioni, latrati, abbai, e ordini, ordini, ordini, che con i latrati e gli abbai si fondono in una sola lingua, non umana ma canina. I soldati che fanno queste cose sono umani trasformati in cani. L'ideologia, il razzismo, l'odio per gli altri, l'obbedienza ai capi, le 'cose dei padri' cioè la patria, hanno costruito questo risultato. Ci sono cani che prima mordono e poi ringhiano, così questi uomini-cani prima calano la bastonata e poi urlano l'ordine. Nessun dubbio che il lavoro del Sonderkommando o si fa così o non si fa. Siamo nella catena di montaggio dello Sterminio, i forni, la cenere da smaltire nel fiume, le docce da lavare, via un carico sotto l'altro. Nella catena di montaggio, a sterminare ebrei, sono altri ebrei, schiavi. Uno di questi, un ungherese, crede di riconoscere in un bimbo morente il proprio figlio. O, più probabile, vede quel piccolo morente e lo adotta come figlio. Ne nasconde il cadavere, lo porta sempre con sé, anche nella fuga, per tutto il film gira in cerca di un rabbino che sul piccolo morto reciti il Kaddish, la preghiera ebraica per santificare il corpo da seppellire. Il film vive sul contrasto tra i corpi sprezzati come immondizia, e il corpo di questo bambino santificato. Noi oggi siamo in un'epoca di corpi che esplodono, muoiono per uccidere, e questo film ci offre un corpo morto da santificare, cioè da far vivere in eterno. Il film è sull'urto tra l'odio razzista e l'amore paterno. Non abbiamo mai spinto lo sguardo così dentro l'orrore dove la strage si compie ininterrotta. Ferdinando Camon, Avvenire LÁSZLÓ NEMES Filmografia: Türelem (2007), Il figlio di Saul (2015) Martedì 31 gennaio 2017: CAROL di Todd Haynes, con Cate Blanchett, Rooney Mara, Kyle Chandler, Jake Lacy, Sarah Paulson