Ricordando l'ebreo novarese Giacomo Diena
Questo giovedì 28 gennaio alle ore 18, all’interno dei giovedì dedicati agli Sconfinamenti tra storia e letteratura si parlerà di Memoria con Anna Cardano che presenta Storie di persecuzioni, indifferenze e solidarietà a partire da una lettera dal carcere del novarese Giacomo Diena del 1943, di cui si farà un’analisi e dai libri di Rosetta Loy, La parola ebreo (Einaudi) e di Anna Bravo, La conta dei salvati (Laterza).
Su Giacomo Diena è importante soffermarsi particolarmente in quanto novarese vittima di arresto e di morte perché ebreo. Per ricordarlo al meglio si riportano le parole della professoressa Cardano che in una lettera aperta ricorda proprio Giacomo Diena: «Uno dei rischi possibili quando si affronta lo studio di grandi fatti storici, e nel caso della Shoah di uno degli eventi chiave del Novecento, è quello di perdersi tra i numeri. Per questo è importante vedere tra i numeri i volti e le storie di vita delle vittime, e insieme a loro far riemergere dal tempo i carnefici, i complici indifferenti, ma anche chi fu solidale e vicino ai perseguitati. Così la giornata della memoria delle vittime della deportazione può riportarci al senso delle nostre responsabilità di cittadini di oggi. Queste sono le ragioni per cui credo che sia importante a Novara onorare la memoria di Giacomo Diena, arrestato nel settembre 1943 perché ebreo, al quale non valsero antiche “glorie”(era invalido della prima guerra mondiale), né presenti incarichi (era funzionario della Banca popolare di Novara). Lo si può fare in tanti modi, oltre che con studi e cerimonie legate alla Giornata della Memoria, anche attraverso segni materiali (per esempio targa alla BPN, pietra d’inciampo), anche considerato che oggi, attraverso il contatto con una famiglia che gli era amica, è stato possibile recuperare una sua fotografia e una sua lettera dal carcere di Torino dove era stato rinchiuso col vecchio zio, anch’egli ebreo novarese, dopo l’arresto, e col quale condivise la tragica fine. Scrisse dal carcere che “tanti che gli erano amici, ora facevano finta di non conoscerlo”. Ridiamogli dunque un volto, la sua storia, e un segno tangibile nella nostra città».