"Mio padre vittima del covid, grazie ai medici per quello che hanno fatto"
Non c’è un lieto fine di questa storia ma se questa testimonianza serve anche solo a ridurre un contagio la mia missione è compiuta. Guardo il telegiornale, ascolto i dati covid: numero tamponi, numero positivi, numero guariti e numero decessi… numeri che ho ascoltato a volte anche un po' distrattamente ma oggi no, oggi è tutto diverso. Mia figlia mi chiede: "mamma, ma nel numero dei decessi di oggi c'è anche il nonno?".
I primi di febbraio mio papà risulta positivo al covid, non lo vediamo da prima di Natale per proteggerlo, per preservarlo, ci manca ma è meglio così. Ci sentiamo al telefono e facciamo qualche videochiamata. Nonostante ciò non siamo riusciti a difenderlo abbastanza da questo maledetto virus. Penso: mio papà non è giovanissimo, però gode di buona salute, è uno sportivo, non prende medicine, va 3 volte a settimana a camminare nei boschi, è praticamente vegetariano, mangia frutta, verdura, conserve e preparati del suo orto… i presupposti per affrontare il virus potrebbero essere buoni. E invece… va tutto storto. Mio papà si ritrova ricoverato in ospedale prima in subintensiva e poi in rianimazione, sempre lucido e cosciente. Si ritrova in un letto di ospedale senza vedere i famigliari, solo giorno e notte. Questo virus attacca i polmoni, ma il danno che fa è molto più grande, il virus attacca la psiche, logora i pensieri e priva il malato di tutto. Il casco o la maschera lo isolano da tutto e da tutti, anche dai medici e dal personale sanitario. Anche solo una breve telefonata è impossibile. Per telefonare deve togliere il casco, se toglie il casco non ha più ossigeno, se non ha più ossigeno non respira, se non respira sta molto male. Neanche mangiare è più possibile. Queste sono le pieghe più subdole di questo virus, che ti contagia, ti logora, ti mantiene lucido, e ti fa stare tremendamente solo.
Mio papà ha combattuto fino all'ultimo per vincere contro il virus. Insieme a lui i medici dell'ospedale di Borgomanero che prima in un reparto e poi in un altro hanno cercato di fare del loro meglio e che ringrazio moltissimo. Questi medici che ho visto piangere insieme a noi familiari quando ci hanno comunicato che non c'era più nulla da fare. Medici nelle cui occhiaie ho visto lo sfinimento fisico e mentale di un anno così tremendo. Medici che a fine turno, con la fatica e il dolore nel cuore ci chiamavano per darci un breve aggiornamento su mio papà. Nelle loro voci si percepiva la difficoltà di dover dare brutte notizie, la fatica di rispondere in maniera chiara, semplice e allo stesso tempo professionale a tutte le nostre domande. E poi non dimenticherò mai queste due chiamate: una all’una di notte dove una voce di un medico giovane di nome Alessandro, si scusa per l’ora, si scusa per quello che mi deve dire, di una gentilezza rara; con voce dispiaciuta fatica a trovare le parole giuste, mi avvisa che la situazione è critica, in peggioramento irreversibile. Mi chiede se, vista l’ora, voglio essere avvisata quando sarà il momento, se mi può "disturbare" di nuovo per darmi la notizia. Alle 3 di notte, arriva di nuovo la telefonata di Alessandro. Nella voce sento gentilezza, dispiacere, empatia, difficoltà e scuse per dovermi dare questa brutta notizia: mio papà non ce l’ha fatta. Con un filo di voce gli chiedo di fare una cosa che non ha nulla di professionale ma di andare da mio papà e di dargli una carezza da parte nostra. Lui mi risponde: "Certamente, siamo stati tutti lì con lui fino all’ultimo e una carezza già gliela abbiamo data. Ora torno di là e gli darò una carezza da parte vostra". Questi dottori sono persone speciali non dimentichiamolo. Mio papà è aronese da sempre, i medici a cui mi riferisco sono tutti dell’ospedale di Borgomanero.