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M5S, Crippa: "Petrolio a Carpignano: ricatto stile Ilva?"

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di NovaraToday

Eccolo qua. Lo aspettavamo. D’altra parte non poteva mancare. In un momento in cui il tema del pozzo di ricerca di Carpignano è fonte di importanti confronti sul territorio, oltre che di promesse non mantenute da politici e istituzioni e tanto tanto scetticismo, ecco arrivare loro, i sindacati.

La lettera pervenuta ai media novaresi dalle Rsu di categoria come si potrebbe definire se non un vero e proprio ricatto occupazionale? Un ricatto occupazionale che vediamo quotidianamente in tutta Italia e di cui il caso Ilva è il più tragico e noto degli esempi.

Raccontare infatti che il Centro Oli di Trecate potrebbe chiudere a causa della mancata realizzazione del pozzo di Carpignano è una forzatura che credevamo (e speravamo) nemmeno il sindacato più connivente al sistema potesse neanche immaginare di dichiarare.

Varrebbe quindi la pena di fornire due dati:
1) durante un incontro tenutosi a Novara nel gennaio 2013 presso la sede dell’Associazione Industriali di Novara (Ain), Eni dichiarò come il giacimento di riferimento di Trecate sia in fase di declino naturale, con una produzione di circa 3.000 barili al giorno (il 90% dei quali estratti da uno solo dei quattro pozzi attivi) contro i circa 85.000 del 1997. Tale situazione porterebbe alla chiusura della produzione e del Centro Oli entro il 2015;
2) nel già citato incontro, Eni stimò per il pozzo di Carpignano una produzione tra i 3.000 e i 3.500 barili al giorno per i circa 15 anni di "vita" previsti del giacimento;
3) dal rapporto consegnato da Eni ai Deputati della Commissione Attività Produttive durante l’audizione del 5 novembre 2014 si può notare come nel solo periodo 2008-2014 si è vista la domanda di petrolio contrarre del 29%, che il settore petrolchimico di Eni nel periodo 2009-2013 ha subito una perdita di 2,4 miliardi di euro, quello di raffinazione una perdita di 5,9 miliardi di euro, mentre quello di esplorazione ed estrazione un utile di 71,1 miliardi di euro.

Sintetizzando quindi, la domanda di petrolio a livello globale sta crollando, Eni riduce pesantemente gli investimenti in petrolchimica e raffinazione perché non più convenienti. In questo contesto di mercato, il Centro Oli sarebbe in crisi (così come buona parte delle realtà petrolchiminche a livello europeo) e per permettere la sopravvivenza di tale impianto si andrebbe a trivellare il territorio di Carpignano, rischiando una devastazione irrimediabile, al fine di estrarre oltretutto una quantità ridicola di greggio (che secondo i dati della stessa Eni sarebbe giusto sufficiente a parificare la produzione attuale).

Una situazione paradossale che dovrebbe far a dir poco riflettere. Non ci si venga poi a raccontare per favore che nelle opere di trivellazione non ci sono rischi ambientali. Se infatti potrebbe sembrare strumentale ricordare (ma lo faremo sempre) il devastante incidente di Trecate del 1994, forse è il caso di citare anche gli almeno 5 incidenti minori verificatisi nei pressi del Parco del Ticino tra il 2005 e il 2007.

Mi permetto infine di aggiungere che quando si parla di tutela di lavoratrici e lavoratori si dovrebbe anche pensare al rischio che, nel malaugurato caso in cui il pozzo si facesse, correrebbero quelle più di 200 aziende di qualità medio/piccole di produzioni alimentari ed enologiche delle zone del novarese e del vercellese.

Considerando che il settore eno/agro/alimentare è l’unico a essere protagonista di un trend positivo (+13,8% nel 2014) nella provincia di Novara, rischio che possiamo permetterci di correre?

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