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Cronaca Centro / Baluardo Lamarmora

"Giornalisti, Giornalisti", seminario di studio sul giornalismo locale

Un dibattito su come vengono trattati i temi di cronaca nel giornalismo locale, un confronto tra direttori di testate locali, collaboratori, giornalisti professionisti e volontari di associazioni contro la mafia

"Giornalisti, giornalisti", il mondo dei giornali locali a confronto su come si trattano i temi più scottanti di cronaca.

Questo il tema cruciale del seminario di approfondimento, organizzato dall'associazione "Libera" di Novara, svoltosi venerdì 28 settembre, nell'aula magna dell' istituto Bellini di Novara e rivolto ai giornalisti e ai ragazzi per confrontarsi su come i giornali trattano gli argomenti di cronaca e come vengono recepiti dall'opionione pubblica. A discuterne con i direttori delle testate locali il giornalista Rai, Santo Della Volpe, Marika Demaria, giornalista professionista collaboratrice della rovista Narcomafie.

Santo Della Volpe chiarisce subito che scrivere semplicemente di cronaca, bianca o nera che sia, è ben diverso che scrivere le cronache di fatti mafiosi. Un punto fermo di base è, secondo Della Volpe, considerarsi comunque e sempre un cropnista che osserva e descrive i fatti che vede. Per fare informazione sui fatti di mafia - continua - non ci vuole un naso particolare, ma ci vuoe la massima attenzione nel contestualizzare i fatti. Si deve cercare di dare al pubblico una ricostruzione chiara e precisa dei fatti. In particolar modo nel giornalismo del Nord. Il giornalismo di mafia al sud è ben diverso: il giornalista, oltre che a doversi confrontare con il pubblico, si confronta direttamente con l'esponente della famiglia mafiosa, al quale basta uno sguardo per far capire quale è il ruolo".

Marika Demaria, corrispondente del mensile "Narcomafie" è daccordo con quanto detto dal collega Della Volpe e aggiunge "per fare una buona cronaca, bisogna battere il territorio in prima persona. Intervistare, fare inchiesta, non aver paura e andare a schiena dritta.  Per Narcomafie ho seguito diversi processi importanti - racconta - e non sempre è stato facile entrare in aula, vedersi gli occhi dei familiari degli imputati puntati addosso, essere additata. Ma per fare una buona cronaca, specie di fatti scottanti, si deve sopportare anche questo; dai primi anni nei quali ho iniziato a fare questo lavoro, non credo sia cambiato molto. Se si vuole fare il giornalista in un certo modo, bisogna avere alle spalle una redazione che ci tuteli e ci appoggi; e spesso ancora oggi, sotto questo aspetto, siamo ancora fermi".

Convegno "Giornalisti, Giornalisti"

Ed è dopo la testimonianza dei due giornalisti, che a livello nazionale si sono confrontati con la cronaca di mafia, che il dibattito si è stretto attorno al mondo, con difficoltà e privilegi, della cronaca locale,  in una tavola rotonda che ha visto confrontarsi giornalisti  delle maggiori testate locali novaresi, tra cui: Carlo Bologna, Attilio Barlassina, Antonio Maio e Paolo Viviani.

Carlo Bologna, direttore della sezione locale di un giornale nazionale, racconta che "nella sua esperienza di giornalista, ha sempre cercato di informare e di insegnare ai suoi redattori, ad informare in modo puro, corretto e garantista. Il rischio di intermittenza da parte della mafia nell'informazione deve essere mitigato da noi giornalisti". Gli fa eco Paolo Viviani secondo cui "i punti cardine del giornalismo sono trasparenza e oggettività che devono essere ricercati ma che allo stesso tempo è difficile che vengano strettamente mantenuti. Siamo persone con sentimenti e stati d'animo e filtriamo le notizie per come le comprendiamo nel momento nel quale ci arrivano.

L'intervento di Attilio Barlassina, direttore di un giornale locale, parte dalla formazione del giornalista. "Il mestiere, seppur oggi per entrare nell'albo professionisti sia consigliato frequentare un percorso formativo universitario, lo si impara sul campo, facendolo. La differenza tra i giornali nazionali e quelli locali è palpabile. Nei giornali locali - dice - chi fa, chi cerca le notizie e le manda in redazione sono ragazzi precari, pagati spesso pochi euro al pezzo; quelli contrattualizzati sono quelli che lavorano al desk, organizzando il giornale. La libertà di informazione? Un bravo giornalista, sicuro dei fatti e delle fonti, deve saper tenere la schiena dritta".

Antonio Maio racconta invece l'esperienza nel dirigere e fare informazione per un giornale cattolico locale. "Siamo un giornale, settimanale, diffuso in tutta la zona - commenta - che segue fatti prevalentemente rivolti alla comunità e al sociale. Non abbiamo il pressing dei quotidiano e selezioniamo e pubblichiamo le notizie che riteniamo migliori per la società. Difficilmente trattiamo la cronaca che possa portare a darci problemi nei confronti della comunità politica, ma anche noi siamo giornalisti e facciamo informazione, Personalmente trovo che chi fa informazione deve potersi definire giornalista indipendentemente dalle suddivisioni che l'ordine impone".

In chiusura di dibattito, un monito al giornalismo e a come viene regolato, arriva dal giornalista novarese di lunga carriera, Gianfranco Quaglia. "Bisogna che nel giornalismo cambi anzitutto la mentalità - dice a gran voce -. Oggi i piani alti pensano solo alle grandi firme. Questi, nell'80% sono persone inchiodate alla scrivania, daranno pure gli spunti ai collaboratori, ma chi lavora sul campo sono i collaboratori spesso pagati pochissimi euro al pezzo. Oggi come negli anni 70, quando ho iniziato questo lavoro, ci venivano lanciati dei messaggi quasi intimidatori che, all'epoca, erano solo ritenuti allarmismi. Questo a testimonianza che oggi come allora i giornalisti locali sono molto più esposti alle telefonate, alle critiche, alle lamentele. E' assolutamente fondamentale tenere la schiena dritta anche se non è facile. E per farlo facilmente bisogna che tutti i giornalisti abbiano un degno compenso".

 

 

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