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Nuove terapie per il trattamento dei gliomi: l'Università del Piemonte Orientale coordina uno studio internazionale

La ricerca, pubblicata su Communications Biology (Nature), ha permesso di individuare una molecola efficace per contrastare i tumori al sistema nervoso centrale

Le nuove terapie per il trattamento dei gliomi sono le protagoniste di una pubblicazione comparsa il 21 dicembre su Communications Biology, tra le più autorevoli riviste scientifiche del gruppo Nature.

La ricerca che ha portato alla pubblicazione è stata coordinata dal professor Menico Rizzi del dipartimento di Scienze del farmaco dell’Università del Piemonte Orientale e dal professor Robert Sobol del Mitchell Cancer Institute, University of South Alabama, Mobile, Usa.

Lo studio (A specific inhibitor of Aldh1A3 regulates retinoic acid biosynthesis in glioma stem cells), che ha coperto aspetti di biochimica, biologia strutturale, sintesi chimica e biologia molecolare e cellulare, ha individuato una molecola con forte attività di inibitore altamente specifico per l’enzima aldeide deidrogenasi 1A3 (Aldh1A3) che lo stesso studio, insieme ad altri precedenti, individua come un bersaglio rilevante per lo sviluppo di terapie farmacologiche dirette verso i gliomi. I gliomi sono neoplasie assai frequenti fra quelle che interessano il sistema nervoso centrale e per le quali la prognosi è molto frequentemente infausta. In particolare, per i glioblastomi la percentuale di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi non supera il 5%. Questo è essenzialmente dovuto al fatto che la terapia primaria rimane la resezione chirurgica del tumore che, considerata la sede anatomica, non riesce in molti casi ad essere risolutiva e che i trattamenti radioterapici e farmacologici mostrano limitata efficacia.

I ricercatori del dipartimento di Scienze del Farmaco (Dsf) che hanno contribuito allo studio - oltre al professor Rizzi, attualmente membro del Consiglio Direttivo di Anvur, la professoressa Silvia Garavaglia e il dottor Andrea Moretti, attualmente ricercatore presso l’Università di Ginevra - sono partiti dall’analisi della struttura tridimensionale dell’enzima Aldh1A3, precedentemente risolta e pubblicata dagli stessi autori. Sfruttando due specifiche differenze di amminoacidi che distinguono Aldh1A3 dagli enzimi Aldh1A1 e Aldh1A2, ad essa molto simili anche a livello di architettura molecolare, è stato possibile disegnare una molecola che è in grado di inibire Aldh1A3, la forma largamente predominante nei gliomi, ma non gli altri due isoenzimi. La nuova molecola è stata valutata per la sua capacità di inibire la produzione di acido retinoico, ovvero il prodotto della reazione catalizzata da Aldh1A3, sia in vitro sia nelle cellule tumorali e, in particolare, nelle cellule staminali mesenchimali di gliomi, considerate il vero bersaglio contro cui indirizzare nuove terapie farmacologiche e in una linea cellulare di glioblastoma. L’acido retinoico è un prodotto del metabolismo del retinolo (comunemente noto come vitamina A) che esercita molteplici funzioni, fra le quali quella di controllare l’espressione di geni coinvolti nella proliferazione cellulare, un meccanismo che nelle cellule tumorali è fuori controllo. Ridurre la sintesi di acido retinoico, attraverso l’inibizione specifica dell’enzima chiave che lo produce nei glioblastomi, ossia Aldh1A3, è il razionale per pensare a un’attività antitumorale di questi composti. Una serie di esperimenti, riportati nell’articolo pubblicato e condotti ricorrendo a tecniche di spettrometria di massa, hanno inoltre dimostrato che l’enzima Aldh1A3 è l’unico bersaglio cellulare dell’inibitore sviluppato, un risultato inatteso e fortunato dal momento che dimostra in modo diretto, in cellule, l’eccezionale livello di selettività della molecola individuata.

"Questi risultati - spiega il professor Menico Rizzi - provano che l’idea di inibire l’enzima Aldh1A3 per lo sviluppo di terapie contro questi tumori devastanti è solida. Dimostrano, inoltre, che oggi l'adozione di un approccio di ricerca multi-disciplinare e trans-disciplinare è necessaria negli studi che indagano sistemi biologici complessi, ancora di più in una logica di una possibile applicazione medico-farmacologica".

"Il valore della collaborazione internazionale emerge come elemento di primaria importanza - aggiunge il professor Rizzi -; questo studio non solo non sarebbe stato possibile senza il contributo dei colleghi ricercatori d’oltreoceano, ma ha stimolato e generato nuove ricerche. È importante sottolineare come questo progetto di ricerca non miri solo allo sviluppo di molecole ad azione terapeutica, ma anche a fornire nuove opportunità diagnostiche attraverso l’individuazione di sonde specifiche da utilizzare in tecniche di imaging in grado di “mappare”, in sede operatoria, l’estensione del tumore con elevata precisione e migliorare, quindi, efficienza e precisione dell’intervento chirurgico".

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